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Francesca Tassistro: “Ecco come si evolve l’Experience Design”

  • Scritto lunedì 13 giugno 2022
  • Tempo stimato di lettura 5 minuti
Ecco come si evolve l’Experience Design

Francesca Tassistro, Experience Design Global Lead di Avanade, parla a tutto campo di questa affascinante professione, e di come sta avanzando ed evolvendo.

Mai come oggi, nel contesto di una trasformazione digitale sempre più pervasiva in ogni ambito di attività, il mondo aziendale sta conferendo tanta importanza a quello che le persone provano e sperimentano, nell’utilizzare prodotti e servizi in ambito lavorativo e nella sfera privata. Se l’esperienza delle persone va messa prioritariamente al centro in qualunque strategia di business, per migliorarla a 360 gradi serve una disciplina come l’Experience Design, ormai adottata in un crescente numero di scenari imprenditoriali: ne parliamo con Francesca Tassistro, Experience Design Global Lead di Avanade.

Francesca, da quanto tempo lavori in Avanade? E, pensando alla strada percorsa, quali momenti della tua formazione professionale credi siano stati decisivi per raggiungere la tua attuale posizione nell’Experience Design?

Lavoro in Avanade da oltre dieci anni e un momento fondamentale per la mia carriera in questo ambito è stato quando, dopo gli studi a Torino e Milano, nel 2000, ho iniziato a lavorare in un’agenzia web di Genova, che oggi non c’è più. Qui ho costruito e condotto la pratica di ricerca progettuale e mi sono occupata di interaction design per siti web e applicazioni di back-office. Lavorare in questa agenzia mi ha consentito di approcciare questo ambito, con tutti i pro e contro che all’epoca esistevano nel muoversi in un territorio nuovo e inesplorato come la New Economy.

Cosa ti affascina, in particolare, dell’Experience Design e cosa ti ha spinto a lavorare in questo ambito?

L’unione di due aspetti che a me piacciono molto. Uno è la ricerca: nel mio percorso di studi avevo approfondito le metodologie di ricerca sociale, con una tesi sulle ricerche di mercato qualitative e, in particolare, sull’utilizzo della semiotica generativa all’interno delle ricerche di mercato. Allo stesso tempo, l’altro aspetto che mi interessava era l’ambito del design e della creatività. L’Experience Designer, è una professione che, in qualche modo, unisce questi due mondi, perché in essa occorre alternare attività di ricerca e attività creative.

Come definiresti l’Experience Design? La progettazione dell’esperienza dell’utente?

Preferisco pensare all’Experience Design come alla capacità di progettare l’esperienza della persona, non dell’utente. C’è una differenza tra utente e persona: per lo scienziato cognitivo Don Norman, l’utente rappresenta una visione molto limitata della persona; l’utente è considerato come tale nel preciso momento in cui esegue una specifica operazione, nel nostro caso utilizzando uno strumento digitale. Se invece parliamo di “persona”, prendiamo in considerazione anche le sue emozioni, le sue motivazioni, le sue abitudini e il contesto in cui si trova.

Quali suggerimenti daresti a chi vuol trovare occupazione nell’Experience Design?

Un consiglio che mi viene subito in mente è non focalizzarsi solo sugli aspetti tecnici, ma cercare di ampliare l’orizzonte e acquisire, fin dall’inizio, una prospettiva ampia su ciò che comporta questo lavoro. Spesso, è molto facile fermarsi all’ultimo stadio del processo, cioè lo sviluppo dell’interfaccia: ma, progettare un’esperienza non è ideare un’interfaccia, è molto di più. L’interfaccia è la punta dell’iceberg, sotto la quale ci sono molte altre attività: c’è l’attività di ricerca che produce insight, sulla base dei quali parte l’attività di sviluppo creativo di un’idea. In questo percorso, occorre applicare il pensiero laterale e domandarsi se tale idea sia giusta, se parta da presupposti corretti, oppure se sia meglio ricominciare daccapo, avviando l’attività da un altro punto di vista. L’obiettivo dell’Experience Design, oggi, può essere infatti anche molto più elevato di quello di migliorare l’usabilità di una data funzionalità, e può puntare al raggiungimento della sostenibilità, che richiede di cambiare i comportamenti delle persone.

Quali ritieni siano i requisiti chiave per lavorare in Avanade nell’ambito dell’Experience Design, e quali i vantaggi?

Un requisito è sicuramente essere una persona aperta al dialogo e con la voglia di mettersi in gioco. Avanade è oggi una realtà molto articolata, dove, personalmente, guido un team di Experience Design di 450 designer a livello global. Qui in Avanade, è molto arricchente poter dialogare con professionisti anche molto diversi da noi, con punti di vista differenti da scoprire e comprendere. Abbiamo la possibilità di collaborare, ad esempio, con esperti di intelligenza artificiale, data scientist, esperti di IOT e di change management, solo per citarne alcuni. Il confronto interdisciplinare è il grande vantaggio di Avanade.

Un altro beneficio di lavorare in Avanade è la globalità di questa azienda che consente di mantenere sempre una finestra aperta su ciò che sta accadendo nello scenario internazionale, dove si realizzano svariati progetti, utilizzando tecnologie e approcci all’avanguardia. Particolarmente importante è, ad esempio, il recente progetto con l’UNICEF Italia che ha voluto ripensare il sito - grazie al nostro supporto - rendendolo più coinvolgente, immersivo e con pecorsi personalizzati per un’esperienza digitale all’altezza della missione dell’UNICEF.

Cos’è Digital Innovation Studio e di quali attività si occupa?

Digital Innovation Studio è una sorta di agenzia all’interno di Avanade, uno studio, che ha come scopo principale l’attenzione verso la persona. Le competenze base del nostro Studio, in particolare quello di Milano, sono due. Da un lato, c’è la componente di Experience Design, orientata allo sviluppo di soluzioni per le persone; dall’altro, la componente di Change Management, sempre focalizzata ad accompagnare le persone nel processo di cambiamento che queste nuove soluzioni comportano. Entrambe le anime dello Studio condividono l’approccio Human-Centered, ossia mettere le persone al centro.

Queste due componenti, Experience Design e Change Management, s’integrano molto bene, essendo un po’ due facce della stessa medaglia nell’ambito della trasformazione digitale, entrambe focalizzate sul ruolo della persona.

In Avanade, avete posizioni aperte in area Experience Design?

Sì. Stiamo cercando un Senior Service Designer, perché è fondamentale possedere competenze nella progettazione e orchestrazione dei servizi su tutti i possibili canali e touchpoint, fisici e digitali, al fine di semplificare e massimizzare la fruizione dei servizi stessi da parte delle persone.

Cerchiamo inoltre sviluppatori di front-end, necessari per connettere e far comunicare le interfacce grafiche usate dalle persone con i sistemi di back-end.

Scopri le nostre posizioni aperte in ambito creativo e di Experience Design.

In Avanade Italia abbiamo un piano di assunzioni che supera le 500 persone ogni anno. Le possibilità sono tante e l’azienda è molto focalizzata sulla valorizzazione delle persone e sul benessere dei dipendenti.

Quali sono le sfide e i benefici di lavorare nel Digital Innovation Studio?

Tra i vantaggi, direi che questo è un team, sia a livello locale, sia internazionale, dove esiste forte collaborazione. In termini di sfide, c’è una prova molto attuale che, in Digital Innovation Studio, tutti dobbiamo affrontare, ossia come trasformare la nostra professione in un settore che è cambiato profondamente. Vent’anni fa, era sufficiente mettere le persone al centro del processo di progettazione, identificando le loro esigenze e aspettative e sviluppando soluzioni per soddisfarle. Oggi questo non è più sufficiente, perché c’è molta attenzione alla sostenibilità e la nuova sfida è aprirci, come accennavo prima, alla collaborazione con professionisti di discipline specifiche: in primo luogo la psicologia e la psicologia del comportamento, che ci aiutano a capire come usare l’Experience Design per trasformare in meglio i comportamenti delle persone. Inoltre, quando si deve tener conto della sostenibilità, cambia l’orizzonte temporale, occorre porsi il problema del futuro, dell’impatto che avrà, fra dieci anni, quello che sviluppiamo oggi. Non possiamo più permetterci di fare qualcosa senza interrogarci sul futuro. E non possiamo più pensare di affrontare queste sfide con le stesse tecniche che usavamo anni fa.

In una recente intervista, Andrea Silvestri, Innovation Lead di Avanade, ha detto che “Se è certamente necessario comprendere le esigenze delle persone e disegnarne l’esperienza stimolando così comportamenti sostenibili, va anche considerato un certo grado di innovazione degli stessi modelli di business”. Cosa ne pensi?

Concordo, perché un’altra categoria di professionisti con la quale noi designer dobbiamo sempre più collaborare sono proprio gli esperti di strategia e business. In questo ambito, infatti, esiste tutta una branca del design nota come Business Design. Si tratta di un lavoro che va fatto a monte, perché naturalmente, se prima non si cambiano i modelli di business, non ha senso fare Design Sostenibile. Nel Business Design noi siamo coinvolti, ovviamente a fianco degli esperti, per fornire il nostro contributo. Perché, comunque, quando si cambia un modello di business, esiste sempre anche una componente di pensiero creativo, di pensiero laterale e di lavoro di ricerca. E il Business Design costituisce il presupposto che ci permette di evolvere il nostro modo di fare design.

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